Montagna

30 settembre 2007, Bordaglia - Sissanis (Alpi Carniche)

La prima neve aveva lambito le cime delle Alpi Orientali all'inizio di settembre, ma non era ancora quella giusta. Una seconda nevicata è caduta a fine mese. Ad ogni modo credevo di non trovarne più dopo le dieci di mattina, la terra è calda ed il Sole riesce ancora a scaricare una quantità enorme di energia sui monti.
Non sapendo proprio dove andare mi è tornato in mente che, da alcuni anni, mi ero riproposto di dare un'occhiata alla zona di Quota Pascoli, in Alpi Carniche (zona Bordaglia - Fleons). Il motivo era puramente speleologico, mi avevano parlato di doline e piccole valli chiuse. Così ecco la gita.


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Arrivare alla cava di "marmo" in Fleons (q. 1124) richiede un po' di tempo in auto e siamo anche partiti tardi (alle 8) con grande contrarietà dell'Arch. Parcheggiata l'auto prendiamo la strada che porta verso Bordaglia. Pessima idea da un certo punto di vista. La strada scende, e non c'è nulla di peggio che iniziare una giornata scendendo. Non solo, nel tratto che ci separa dalla congiunzione con la vecchia strada che saliva dal Pian della Guerra arrivano alcune telefonate da casa, che innescano disperati tentativi di connessione, vanificati dai capricci del segnale ... ho rischiato di esplodere. E' mai possibile che uno debba subire l'ansia di comunicazione anche se si nasconde nei boschi? Odioso.
Alla fine riusciamo a riprendere la strada ed in lontananza, fra gli abeti rossi, i monti di Volaja mostrano i loro candidi versanti meridionali. C'è più neve del previsto, ma tanto andrà via prima che noi arriviamo in quota, di sicuro, non c'è problema se non abbiamo le ghette. Ci mancherebbe, e poi due rudi come noi ...


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Superata una famigliola e superati da due ragazzi arriviamo rapidamente al limite inferiore del cjampit della malga Bordaglia di Sotto. Lo spettacolo che offre la cresta dei monti di Volaja è stupendo, candido come in inverno pieno, mentre noi camminiamo tranquilli su terreno appena umido.
Una breve sosta di fronte alla casera della malga (q. 1565), sistemata veramente come un piccolo gioiello, riprendiamo il cammino verso la stazione successiva, la malga superiore.
Il fondo è primaverile, chiazze di neve in fusione e molta acqua che ruscella lungo il sentiero. Il tutto è un po' fangoso e scomodo, ma la temperatura è piacevole, il sole caldo, il panorama di grande soddisfazione.
Superiamo un abbeveratoio marcato 1915, su cui è stato posto a decorazione un elmetto italiano del modello usato durante la I Guerra Mondiale. Poi è la volta del cjampit di Bordaglia di Sopra.


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Appena si apre la vista è uno spettacolo. Tutto bianco, dalla malga in su, le cime in abito invernale, alcune valanghe già solcano i fianchi dei monti di Volaja, bianche anche le cime lontane.
Siamo in cinque alla malga. Mi fermo un attimo a parlare con un altro escursionista, commentando la confusione che stanno facendo i cervi in amore. E' la prima volta che sento il bramito in modo così chiaro. E' spaventoso ed esaltante nello stesso tempo. La potenza del richiamo del cervo maschio scuote le montagne, esce dalle distese di larici ed abeti per rimbalzare sui pendii e diffondersi nella valle. Mi guardo attorno e tutto sembra perfetto, ideale, naturale. So bene che l'uomo ha fatto molto per modificare il paesaggio alpino, ma in quei momenti potevo percepire la eco di un mondo scomparso.
Seduto di fronte all'igresso della cjasere di Bordaglia di Sopra (q. 1823) ingoio un panino, guardando oltre il tetto di una logje le cime delle Dolomiti Pesarine o Sappadine.


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Mangiato si riparte. I ragazzi che ci precedono di poco si dirigono verso il Passo Giramondo, noi verso la Sella Sissanis. Rimontiamo il pendio sopra la malga su una traccia lasciata da uomini ed animali che seguono lo stesso sentiero, evidentemente il migliore. Man mano che si sale la neve è sempre più abbondante e dopo pochi minuti ci troviamo a salire pendii veramente invernali. Per fortuna lo spessore del manto nevoso varia da 15 a 30 centimetri ed il piede non può affondare troppo. L'effetto paesaggistico è comunque impressionante e mi fa rimpiangere di non essere mai stato prima quassù. Eppure è una gita veramente breve, a portata di mano, ideale anche per i periodi di scarso allenamento (come questo).
Appena arriviamo alla zona di conche a NW di Quota Pascoli è un delirio. La Creta di Bordaglia (q. 2169) si staglia contro il cielo terso, blu scuro, in contrasto con la distesa candida della neve e più in basso, in una conca, un laghetto di cui ignoravo l'esistenza. Le carte non lo riportano. Mi chiedo se non sia semplicemente temporaneo. L'Arch dice di no, che lo ha visto ogni volta che è venuto quassù. Perderei le ore a fotografare ciò che vedo, ma se è difficile riprodurre certi paesaggi per un professionista, diventa impossibile farlo per un mediocre dilettante.


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Giunti a Sella Sissanis (q. 1987) alla bellezza si aggiunge nuova bellezza. C'è un po' di affollamento, è vero, ma non dà alcun fastidio. Scarico foto su foto e raggiungo l'Arch che scalpita per iniziare la discesa verso Sissanis. Il pendio è innevato bene e carico anche verso l'alto ma nella nostra testa non esiste pericolo di valanghe. Pericolo che invece è reale!

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Ci buttiamo giù lungo il pendio, rassegnati all'idea che, senza ghette, ci bagneremo un po' i piedi. Daltronde in un paio d'ore dovremmo essere tranquillamente all'auto e con scarpe asciutte. Incrociamo altri quattro ragazzi in salita. La pista è battuta bene, peccato che il fondo copra a malapena erbe e pietre, altrimenti si andrebbe giù molto bene.
Dopo un po' sento l'Arch bestemmiare. A terra, sulla pista, c'è una bottiglietta di acqua minerale vuota. Bella posata sulla pista, sembra lì da una decina di minuti, non è immersa nella neve. I candidati al titolo di grandissimo demente sono otto. La voglia di risalire alla sella e ficcargli la bottieglietta dove dico io è tanta, ma mi limito a raccoglierla, accartocciarla ed infilarla in tasca. Operazione troppo complicata per un minorato mentale. Per farmi sbollire l'arrabbiatura mi servono una decina di minuti ed una simpatica sorgente che crea un'oasi nella colte nevosa.

La discesa verso Sissanis è rilassante. Disquisiamo dei pascoli e delle malghe della valle di Fleons. Mi pare proprio che i pendii sotto cui camminiamo siano, oltre che carichi di neve non ancorata al fondo, ideali per il pascolo delle pecore. L'Arch mi fa notare che comunque l'allevamento ovino è stato abbandonato almeno 300 anni fa. Lo studioso di malghe è lui. Iniziamo una dotta disquisizione sulla differenza degli alpeggi nelle diverse zone ex patriarcali, dal Canal del Ferro fino alla conca di Anpezo. Tale padre, tale figlio, due antropologi inutili in gita.

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Arriviamo alla malga di Sissanis di Sopra (q. 1675 circa), ormai diroccata. Rimangono le intelaiature dei coperti delle logjes, resti della cjasere e poco altro. Lentamente la malga sta diventando una rovina conservata peggio di molti edifici di epoca romana di mia conoscenza. Mi fermo un attimo per scattare alcune foto e rifletto. Quando ero bambino ho visto gli ultimi malgari carnici, ho conosciuto gente nata nel XIX secolo e sono entrato in edifici di cui oggi restano solo pietre. Guardo perplesso i resti di Sissanis di Sopra e considero che la mia memoria d'infanzia si spinge a tempi e fenomeni culturali che oggi potrebbero già essere oggetto di interesse per l'archeologia! Mio padre ha documentato e descritto la fine di questo mondo, di una cultura che si è dissolta.
Mentre riprendo a camminare, perchè quell'accidente non si ferma mai, penso a quanto sia interessante documentare e ricordare, raccontare ciò che è stata la nostra montagna, ma nello stesso tempo è sbagliato rimpiangere o peggio ancora inseguire quel passato. Detesto e disprezzo coloro che negano le origini, coloro che rifiutano di discendere dagli uomini che hanno portato quassù le bestie per secoli e dalle donne che hanno falciato i prati verso valle. Bisogna raccontare queste cose, mentre cerchiamo in paesi lontani paesaggi naturali ed umani che ci allontanino dalla civiltà urbana dei consumi.


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Così ragionando arrivo in vista del cjampit di Sissanis di Sotto (q. 1550 circa), dove quattro cavalli si godono gli ultimi giorni di vacanza in montagna. Da lontano sembrano Haflinger, l'Arch li chiama Heiflinger (non ho mai capito perché) ma comunque ritiene che quelli lì non appartengano a quella razza. Indifferente, nella nostra famiglia nessuno si è mai occupato di cavalli.
La malga è in condizioni migliori rispetto alla stazione a monte. Accessibile attraverso una strada forestale ripida, ma transitabile, è più adatta agli usi moderni. Probabilmente ci tengono assieme ai cavalli qualche bestia giovane. Ci fermiamo a mangiare ancora qualcosa, mentre un cervo bramisce poco distante (relativamente).
Ci immergiamo nel fitto bosco di abeti e seguiamo la strada verso la stretta di Fleons. I cervi fanno sempre più confusione. Un boato enorme fa tremare l'aria. L'Arch nemmeno lo sente. E' una valanga, bella secca e potente, ricorda le slavine del Mont Blanc. Siamo nel bosco e non mi preoccupo, ma ripenso ai pendii sotto cui siamo passati. Sono le 15, ovvero le 14 solari, l'ora più calda, e la neve che si è posata semplicemente sulla lunga erba autunnale scivola verso valle.
In breve la così detta civiltà ci accoglie. Il cemento della sorgente di Fleons, da cui viene presa la ottima acqua oligominerale carnica (quella che veramente non sa cosa siano i sali!), poi la strada trasformata in cantiere. Stanno cementando il fondo. A me pare un'idiozia, comunque sono noto per essere un retrogrado nemico del progresso. Attraverso il bosco raggiungiamo nuovamente la cava e quindi l'auto, poi via verso la pianura con gli occhi ancora pieni di sole.


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RIPARO NATURALE; MALGA; BIVACCO; RIFUGIO


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