3 aprile 2005 Monte Tinisa (Alpi
Carniche)
Da un anno Alb aveva comprato i ramponi, ma nonostante tutta la buona volontà del mondo, non si era trovato modo per usarli in modo conveniente. Una gita nel gruppo del Canin a fine inverno 2004 non aveva dato nessuna soddisfazione. Così si imponeva assolutamente di trovare un versante di neve dura, magari con un po' di ghiaccio, per consentire l'uso di questi benedetti ramponi. Per non parlare poi della picozza!
La mia scelta cadde sul versante settentrionale del monte Tinisa, la cima che sovrasta Ampezzo e chiude come una scenografia la vista della valle del Tagliamento da Villa Santina in su. Il versante meridionale del Tinisa é una sequenza di scoscesi verts e roccette poco stabili, mentre il versante settentrionale é costituito da una parete di circa 400 metri, anch'essa poco solida. Il punto debole della montagna, dove passa la via normale, é rappresentato dalla cresta occidentale, di accesso facile da Nord.
Il versante N del Tinisa ed il nostro percorso
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L'idea che mi ero fatto consisteva più o meno nel raggiungere il Passo del Pura, traversare lungo la strada forestale all'inizio del sentiero "Tiziana Weiss", quindi dalla Malga Tintina puntare dritti alla cresta, per arrivare all'intaglio del Malpasso di Tinisa, passare sul versante meridionale e raggiungere la vetta. Semplice.
Dovendo scegliere come raggiungere il Passo del Pura iniziammo con gli errori. Giunti ad Ampezzo scegliemmo di non salire alla Maina di Sauris, con l'idea che la strada del passo da Nord sarebbe stata sicuramente piena di neve. Da Sud, invece, nella nostra mente malata la strada doveva essere libera, od al più bloccata da accumuli di valanga molto in alto, sotto i pendii del Col Majer. Così, in barba al divieto di accesso, imboccammo la strada per il Pura da Sud. Facendo slalom fra le pietre, che il disgelo faceva cadere in gran numero sulla carreggiata, arrivammo al primo accumulo di valanga. Qui abbandonammo l'auto di Alb, ci caricammo i sacchi in spalla e partimmo su per la strada. Erano le otto e mezza. Raggiungemmo il passo dopo una quarantina di minuti, ormai su neve continua e lo valicammo, per scendere all'albergo Tita Piaz (detto impropriamente "rifugio") e quindi alla nostra pista forestale per Tintina. Giunti nei pressi dell'albergo scoprimmo, con disappunto non indifferente, che un'auto carica di giovinastri stava allegramente facendo imballare il motore, con gran frastuono, cui si aggiungeva uno stereo a tutto volume con musica tecno di pessima qualità. La strada da Sauris era perfettamente pulita, dato che non soffre del problema delle valanghe.
Lungo la pista per malga Tintina le cose andarono piuttosto bene. In un paio di punti, accumuli di slavine avevano trasformato il piano stradale nel pendio ripido dei canaloni, con neve gelata, che iniziò a farci ben sperare per la necessità di usare i ramponi più su. Arrivammo al cjampit di Tintina, perfettamente coperto di neve, alle dieci ed un quarto, in un sole accecante.
Durante una breve sosta, seduti sulle panche di fronte alla piccola casera, esaminammo il versante con il buon binocolo di cui Alb é sempre munito. La neve sembrava dura ed i segni delle valanghe promettevano bene: tutto ciò che poteva scendere era sceso. L'unica cosa che mi preoccupava era l'aumento della temperatura, veramente considerevole. Dal basso vedevo della neve ancora attaccata ai crêts a destra del Malpasso, sotto cui dovevamo per forza passare.
Ad ogni buon conto ci decidemmo a partire. Attraversammo il cjampit di Tintina ed attaccammo il primo scoscendimento che, d'estate, viene salito lungo un sentiero poco gradevole, fra mughi e ontani verdi. Gli arbusti erano quasi completamente sepolti nella neve, dura e stabile. Non ritenni utile usare ancora i ramponi, dato che era possibile piantare solidamente il piede nella neve. Alla fine di questo primo pendio ci si trova su una sorta di piccolo pianoro, dove si fermano le valanghe provenienti dai canali della cresta ad W del Tinisa.
Puntammo dritti verso il canale che risale la cresta a destra (W) del Malpasso e ne consente l'accesso estivo con un breve traverso, un po' esposto. Dopo poche decine di metri la pendenza e la corazza di ghiaccio sulla neve suggerirono, finalmente, l'impiego dei ramponi.
Dal traverso della cresta W, il pendio settentrionale,
Tintina ed il lago della Maina. clicca per ingrandire
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Se come alpinista sono mediocre, come maestro sono proprio una frana. Questo lo devo dire. Dovevo comunque spiegare ad Alb come usare i ramponi e la picozza. Gli feci indossare la ferramenta sotto gli scarponi, quindi lo piazzai sul margine di una striscia di neve che era stata levigata talmente bene dalla valanga, da sembrare una pista di bob. Gli mostrai come camminare in salita, in discesa e, sopra tutto, come usare la picozza per fermare una caduta. Su questo punto ritenni opportuno fare delle prove, che risultarono molto divertenti, per me, e preoccupanti, per Alb. La superficie del ghiaccio era tutt'altro che liscia e, poiché per il caldo non indossavamo guanti, ci ferimmo entrambi durante le prove di caduta.
Dopo questa rapida, ed aprossimativa, lezione di alpinismo, proseguimmo. Chiesi ad Alb di seguire esattamente il percorso che facevo io, rimanendo però lontano da me e possibilmente mai sulla verticale della mia posizione. In caso di scivolata non volevo centrarlo a tutta velocità con i ramponi in resta. Come al solito mi ero risparmiato il peso della corda, ma non era mia intenzione cacciarmi in situazioni dove questa avrebbe potuto essere necessaria.
Mi tenni sul margine del canale che avremmo dovuto imboccare per raggiungere la cresta, in modo da ridurre la probabilità di essere centrati da qualche scarica provocata dal disgelo. Si saliva con facilità, seguendo la massima pendenza, su una neve gelata ideale. Alb aveva qualche difficoltà in più, perché i suoi scarponi erano privi di qualunque rigidità, fatto che gli precludeva la possibilità di salire sulle punte anteriori dei ramponi, come potevo fare io. A parte questo tutto perfetto.
L'estremo punto raggiunto sotto la cresta W
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Giunti sotto le rocce fummo costretti ad entrare nel canalone, che per buona sicurezza percorremmo il più rapidamente possibile. Dalla testa del canale si rimonta un pendio abbastanza facile sulla sinistra, per imboccare una sorta di larga cengiona, erbosa d'estate. Qui la pendenza si fece maggiore, ma la neve continuava ad essere ottima. Continuando il traverso verso sinistra, in direzione del Malpasso, giungemmo dove la cengia si fa strettissima. Un cavo d'acciaio é stato posto a sicurezza degli escursionisti, poiché per pochi metri si é costretti ad un passaggio piuttosto esposto. Il cavo era libero da neve e ghiaccio, la stretta cengia su cui appoggiare i piedi no. Il ghiaccio, coperto da un sottile strato di neve, intasava completamente il passaggio. Avremmo potuto reggerci al cavo d'acciaio con le mani, piantare bene i ramponi sotto e traversare. Ma senza alcuna forma di assicurazione giudicai la cosa troppo rischiosa. Tanto per non arrendersi volli tentare di valicare la cresta per un piccolo intaglio subito ad W del passo che ci impediva la prosecuzione. Tentai ad arrampicare su un superficiale canalino, senza levare i ramponi, confidando sul fatto che qualche passaggio di II grado in queste condizioni l'avevo già superato. Ma fallii miseramente, dopo una scivolata arrestata immediatamente, vedendo nello sguardo preoccupato di Alb lo specchio della realtà, mi arresi. Ci sedemmo al sole, sul tratto più ampio della cengia, e mangiammo qualcosa. Era quasi l'una.
Mentre mangiavo feci per un attimo attenzione a delle orme impresse nella neve. Tre animali avevano risalito il versante settentrionale della cresta, due di questi erano camosci ed il loro percorso coincideva in parte col loro. Leggermente defilata, fin lì, la pista di un altro animale che riconobbi senza esitazione come una lince. La presenza di questo splendido felino sulle nostre montagne é segnalata sempre più frequentemente. Seguii con lo sguardo le piste e credetti di potere ricostruire in questo modo la faccenda: due camosci, di cui un giovane, avevano valicato il Malpasso, seguiti a distanza da una lince, evidentemente desiderosa di divorare il giovane. Scattai delle foto alle impronte della lince, poiché la sua presenza in quella zona non mi risultava segnalata fino a quella data.
Seduto sulla neve guardo le montagne attorno e penso ad un uomo che da poco se n'é andato. Karol Woytila per i cattolici era il Papa, per me un uomo che ho ammirato. Mi é venuto in mente perché amava la natura e la montagna; ricordo quando lo vidi alla televisione officiare una messa sulla Marmolada, a capo scoperto nella nevicata. Cercavano di coprirlo e lui li scacciava, probabilmente voleva sentirsela addosso quella neve. Avere anche solo un granello del coraggio che quell'uomo ebbe durante la sua vita, significherebbe molto. Sono pensieri che non riesco e non posso esprimere, forse proprio perché non ho quel granello di coraggio, e me ne resto lì a rimescolare dentro la commozione.
Il panorama sulle Pesarine dal nostro "punto pic-nic"
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La discesa fu una faccenda veloce e divertente, fino ai piedi del lungo pendio gelato. I ramponi mordevano bene e non ci fu nessun bisogno di mettere in pratica le lezioni di scivolata. Il problema maggiore nacque dove terminavano gli accumuli di valanga, per loro natura compatti e duri. La neve corazzata del primo pendio sopra Tintina, infatti, aveva ceduto a causa del forte calore e si era trasformata in una insidiosa massa molle e bagnata. Sprofondando penosamente fino alla cintola, impiegammo oltre un'ora per raggiungere la pista forestale di Tintina. Ad ogni passo si ripeteva una scena indegna di due alpinisti "consumati" e fra le imprecazioni più colorite promettemmo a noi stessi di non rimandare oltre l'acquisto di un paio di ciaspe!
Tutto il ritorno sulla neve molle e bagnata fu un calvario, che si concluse all'auto poco prima del tramonto. Stanchi, fradici e di cattivo umore scendemmo verso una meritata birra all'osteria sulla strada statale, dove la buona birra ci costò la bella cifra di 4 euro e 50 centesimi. L'avventura non ha solo aspetti positivi.
Pagina montagna
Note esplicative
(1) verts: (friulano) pendii erbosi, spesso molto scoscesi torna al testo
(2) cjampit: (friulano) pascolo della malga, non si tratta di un prato primario, ma generalmente deriva dalla modificazione di superfici boschive, é fertirrigato torna al testo
(3) crêts: (friulano) rocce o rilievi rocciosi torna al testo