23 settembre 2007, Gleris (Alpi Carniche)
Il mugo vince sempre (De Paoli, 2007)
Bisogno di muovere le gambe, dopo tanto nuotare è ora di tornare alla montagna. E' stata una gita di famiglia in tutti i sensi. Innanzitutto perché è quella volta all'anno in cui io e mio padre andiamo in montagna insieme, in secondo luogo perché abbiamo scelto di andare nel gruppo del Gleris, dove mio nonno Antonino ha aperto qualche via nuova negli anni '20 del secolo scorso.
L'idea iniziale era la Cima della Pecora, ma leggendo bene la guida ho rilevato che prevede un tratto di I e II grado su roccia friabile. Splendido! Se non che, l'uomo bionico ha pur sempre 72 anni da compiere fra un mese. Così ho dirottato sulla Cima della Vacca. Il nome è stato dato alla cima dagli abitanti della valle, per via della sua forma arrotondata e dolce. In teoria (ed in pratica) di facile accesso. Giusto 10' di traccia dalla Forcella della Vacca.
Raggiunta Pontebba in autostrada (qualcosa di buono l'avrà pur sta porcheria di cemento!) si arriva rapidamente a Studena Alta e poi ad Aupa, dove una bella strada asfaltata porta dentro il Gravon di Gleriis, tradotto alla lettera dal friulano "il ghiaione delle ghiaie". Tutto un programma. La strada è un regalo del gasdotto che trapana la montagna in questo punto. Ad ogni modo si arriva rapidamente a quota 1100, dove si parcheggia di fronte al divieto ed alla sbarra. Dopo un paio di tornanti sulla strada a destra si stacca il sentiero che, bello ripido, si dirige verso i Rusei, la zona occidentale del circo di Gleriis. Si sale rapidamente nella faggeta, senza troppe concessioni alla pendenza, ma il percorso è breve e dopo appena 300 metri di dislivello si arriva alla conca alta, dove il sentiero taglia a destra in quota.
In teoria si dovrebbe superare un bivio, a quota 1439, proseguire sempre verso destra e giungere al secondo bivio, a quota 1492. Noi tiriamo dritti al primo bivio, correttamente, ma non lo vediamo proprio. Così al secondo bivio crediamo di dovere traversare ancora in quota verso destra. Fra le altre l'Architetto ha individuato Cima della Vacca in modo chiaro, sappiamo di dovere salire alla sua destra, quindi siamo perfettamente in direzione. Peccato che quella non fosse Cima della Vacca, ma bensì la Creta dai Rusei. Il nostro primo bivio era il secondo ed il sentiero per Forcella della Vacca parte proprio da lì. Come due merli, aiutati dal fatto che i cartelli ci hanno abituati troppo bene, tiriamo dritti alla ricerca del secondo bivio. Finiamo su un canalone che scende dalla Creta dei Rusei. Due ometti ci convincono di essere sulla strada giusta. Grandissima idiozia. Pero' il sentiero non c'è più. Decidiamo di risalire il canale, che va su dritto ed è più comodo della mugheta circostante. Comodo relativamente, comunque si fa quota. Non abbiamo altimetro ma speriamo che il canale ci porti in qualche modo verso la forcella che, nelle nostre congetture, è nascosta in un anfratto della parete di fronte a noi.
Chi vive sperando, muore cagando (Lo Russo, 1941)
Iniziamo ad avere un discreto panorama. Le vette più alte delle Alpi Giulie spuntano oltre i pendii mugosi della Slenza. Della forcella comunque nessuna traccia. Inizio a pensare che la forcella giusta sia quella a destra della Creta dai Rusei, ovvero una bassa insellatura che separa quella cima dalla Cima Valeri. Insomma, completamente disorientati.
Nel frattempo ci buttiamo fuori dal canalone, verso destra, convinti che ci sia un pendio erboso da risalire e che questo ci porterà rapidamente in cresta. L'erba in verità si estende per poche decine di metri, tutto attorno mugo. Ci sono delle tracce, mughi tagliati da qualcuno che ha aperto vere trincee nella vegetazione. Ci convinciamo che sia un ripristino del sentiero scomparso per abbandono. Intanto il vero sentiero per Forcella della Vacca ci ride alle spalle. Ogni tanto lo guardiamo e consideriamo che deve essere Forcella della Pecora. Ma allora quel sentiero ancora più ad E cos'è? Non l'abbiamo visto passando. Ovvio, è il vero sentiero per Forcella della Pecora, quello del primo bivio che non abbiamo visto.
Dopo avere vagato per mughi ed un boschetto di faggi con aspirazioni alpinistiche decidiamo che è inutile proseguire. Di qui non si sale. Se l'Architetto ammette che il mugo è troppo, significa che è veramente troppo.
Scendiamo attraversando in diagonale i ghiaioni candidi dei Rusei, trovando ancora tracce e mughi tagliati. Alla fine inizio a sospettare che i mughi siano stati tagliati dai cacciatori, per creare spazi erbosi a vantaggio dei galli. Ritroviamo il bivio che consideravamo il I e decidiamo di salire un po' per il sentiero che, a questo punto, ci incuriosisce. Dopo un centinaio di metri la fame ha il sopravvento. E' passato il mezzogiorno, siamo un po' stufi e smonati. Ci sediamo e mangiamo.
Durante il pranzo arriva un escursionista triestino che si ferma a chiacchierare un po' con noi. Gli chiediamo se sa quale sia il sentiero per la Forcella della Vacca e lui, stupito, ci dice che crede sia quello su cui siamo seduti! Già, è proprio quello. Lui il primo bivio lo ha visto quando si è fermato a far una sosta merenda e così non si è fatto ingannare.
Lui prosegue, noi decidiamo di scendere. Almeno sappiamo per dove si va e trattandosi di un dislivello ridicolo (circa 700 metri per la cima) ci proponiamo di tornare, puntando dritti alla forcella giusta.
Da molti questa sarebbe stata considerata una giornata persa. Io invece ne ho tratto grande soddisfazione. Mi piace molto l'idea di avere problemi di orientamento, di aggirarmi per la montagna cercando dove salire, senza cartelli e bolli. Ovviamente se si è merli si sbaglia strada completamente, ma daltronde, se avessi guardato sulla guida i nomi delle cime non avrei commesso questo errore. Il gruppo di Gleriis è sicuramente marginale, ma proprio per questo conserva degli aspetti che altrove sono stati completamente cancellati dall'escursionismo di massa.
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