Al mattino il tempo non sembrava promettere nulla di buono. Al parcheggio del rifugio Tolazzi (1350 m) sopra Collina di Forni Avoltri avevamo scrutato un po' la montagna, coperta di nubi color piombo. L'obiettivo era quello di raggiungere la vetta del Capolago (2554 m), un'idea che ci bazzicava nella mente da qualche anno ma, chissà perché, non ci eravamo andati mai.
I monti di Volaja e la Pieve di Gorto il Capolago é la piramide a dx |
Le perplessità riguardo al tempo non derivavano tanto dalla poca voglia di bagnarsi, ma piuttosto dalla poca voglia di trovarsi in un famoso canale, lungo la via normale, che ci avevano assicurato essere "impossibile" da scendere con la roccia bagnata. Noi, ovviamente, non avevamo neppure l'ombra di una corda e, dobbiamo ammetterlo, nemmeno una cuffia da piscina come casco. I soliti incoscienti, probabilmente. In tutti gli anni di montagna assieme io ed Alb non ci siamo mai mollati in testa una pietra ed il casco lo abbiamo indossato dove c'erano altri davanti a noi, che inevitabilmente ci spietravano in faccia. Ad ogni modo, canale impossibile o meno, partimmo verso il Passo di Volaja.
Come sempre si trattava della prima uscita seria dell'anno, quella in cui partiamo dicendo a noi stessi "facciamo poco, che non siamo allenati, al massimo 700 metri di dislivello". Ovviamente in questo caso i metri di dislivello erano 1200.
La salita lungo il vallone che conduce al Passo di Volaja (segnavia 144) é piuttosto rapida ed amena. Credo di avere percorso quel sentiero per lo meno 40 volte, un tempo, prima di andare in montagna con Alb, era la "mia prima uscita dell'anno", con il suo dislivello di 600 metri fra il Rif. Tolazzi ed il Rif. Lambertenghi - Romanin (1955 m). Su quel tragitto misuriamo le condizioni delle nostre gambe. Ci si può permettere di essere veloci, a patto di avere poi le gambe per proseguire oltre. Quando ero un ragazzino la gita al lago di Volaja, appena oltre il passo, in territorio carinziano, era una delle poche ad essermi gradite. Probabilmente perché 600 metri di sofferenza erano tollerabili.
Mentre salivamo le nubi iniziarono ad aprirsi, mostrando il blu del cielo, ed il sole fece splendere le rocce chiare delle cime attorno a noi. Poco prima di arrivare al passo svoltammo a sinistra, lungo tracce ben marcate, puntando alla base del versante SE del Capolago. Attraversati un po' di sfasciumi taglienti e sconvolti dalle colate primaverili, raggiungemmo quello che si può definire l'attacco della via normale, una sorta di sentiero difficile.
Il primo tratto della salita si sviluppa su dei vetrs, dei prati di alta quota molto ripidi. Il passaggio delle persone ha scavato letteralmente una scalinata di appoggi per i piedi in mezzo all'erba. Si punta verso l'alto, alle rocce che delimitano un canale. Quello é il "punto debole" del versante. Le rocce del canale vengono rapidamente raggiunte e lì, sinceramente, ci sentimmo più a nostro agio. L'erba, nonostante l'abitudine, é un terreno insidioso su cui muoversi, mentre le rocce, per quanto possano essere instabili, ci sono più congeniali.
La salita per un bel pezzo si svolge su rocce levigate, che fanno intuire il lavoro dell'acqua. Questo dovrebbe essere, se abbiamo ben capito, il tratto considerato impossibile in caso di pioggia. In effetti non deve essere per nulla allegro, ma ciò che maggiormente mi preoccuperebbe, in quei frangenti, non sarebbe la difficoltà nella progressione, quanto piuttosto la caduta di pietre dall'alto.
Con roccia perfettamente asciutta salimmo rapidamente, seguendo le indicazioni assurde dei bolli rossi che dovrebbero segnare la via. Una caratteristica dei bolli sui percorsi del genere "escursionismo difficile" é che vengono dipinti a decine nei tratti più intuitivi, mentre scompaiono misteriosamente dove nascono i primi dubbi riguardo alla direzione da prendere. E' uno dei misteri del mondo magico dei tracciatori di sentieri. Non escludo l'ipotesi che questi individui abbiano voluto ereditare in qualche modo la funzione dei mazarots, gli esseri dispettosi fra le cui prerogative v'é quella di creare piste magiche atte a far perdere i viandanti.
Ad un certo punto il canale deve essere abbandonato, così giungemmo al "passaggio chiave" del percorso. Questo passaggio altro non é che un modesto risalto, di un paio di metri, dove si é costretti a usare le mani per salire. Si tratta insomma di un brevissimo tratto di arrampicata "vera". Alcuni lo valutano di III grado addirittura, secondo noi é di II. Ad ogni modo, ignorando un cavo d'acciaio posto a proteggere la sicurezza dell'escursionista che fosse giunto fin lì, digiuno di tecnica alpinistica, superammo questo passo d'impeto e proseguimmo con soddisfazione sulle rocce soprastanti. Da questo punto alla vetta il percorso é piuttosto breve e segue la cresta che si stacca a S del monte. In alcuni punti il percorso appare effettivamente un po' esposto ed ancora una volta il cavo d'acciaio fa la sua comparsa. Noi non avevamo neppure l'imbrago, per cui considerammo il cavo come un corrimano troppo basso per essere comodo. La situazione non andava, comunque, sottovalutata. Innanzitutto Alb non ha alcuna simpatia per i traversi in cresta. Anzi, li detesta. In secondo luogo su quella cresta aveva trovato la morte un escursionista non molto tempo prima. Ho notato, ad ogni modo, che quando si percepisce una situazione potenzialmente pericolosa, si diventa particolarment cauti e precisi nei movimenti. La maggior parte delle cadute avvengono su sentieri ben battuti, in posizioni ritenute sicure.
Raggiungemmo la sommità del Capolago poco prima di mezzogiorno. Appena in tempo per il "pranzo" e, sopra tutto, in tempo per evitare che le mie gambe entrassero in sciopero. Una antipatica caratteristica che mi contraddistingue é il crollo fisico, che subisco appena superati i 1000 metri di dislivello. Dalla cima mitragliammo di foto il panorama, splendido, che spaziava dai contrafforti del Coglians ad Est, attraverso i monti del Canal di Gorto a Sud, la verde Volayer Alpe a Nord. L'occhio poteva percorrere tutte le Alpi Orientali. Come al solito, in lontananza, un'altra piramide di rocce si ergeva massiccia contro il cielo: l'Antelao. Confuse ed ammassate le altre cime dolomitiche limitavano a Sud un mosaico composto di tessere verde smeraldo, marrone cupo e bianco: i monti del Tirolo. Verso settentrione la scintillante massa di neve e ghiaccio del gruppo del Grossglockner.
Le nubi tornarono ad addensarsi, verso Sud, sospinte dalle correnti calde, che strappavano l'umidità alle valli friulane, per portarle verso le alte quote fredde della Carinzia.
Come sempre iniziai a sentire il fuoco sotto gli scarponi. Se il tempo si fosse dovuto guastare, l'idea delle scariche di pietre mosse dall'acqua non sarebbe più stata solo un'ipotesi. Con qualche protesta di Alb, per le mie "paranoie", riprendemmo la strada della valle. La discesa si svolse senza particolari difficoltà e con la consueta rapidità. Tornati sui verts presso il passo di Volaja, valutammo quello come il tratto più pericoloso di tutto il percorso. Il canale ed il piccolo salto del "passaggio chiave" erano stati superati senza neppure rallentare, ma quei pendii erbosi ispirano veramente poca fiducia.
Tornati sulla mulattiera del Volaja puntammo subito verso Collina, di corsa, sotto lo sguardo impaurito o infastidito di altri escursionisti. Il tutto finì in gloria, di fronte alla prima bottiglia di birra.